sabato 25 aprile 2015

Come distruggere il mondo negando le nostre origini

MEMORIA E RICORDO di Ulderico Bernardi

Memoria e Ricordo

La dimenticanza, ammoniva Niccolò Tommaseo, perde i popoli e le nazioni, perché le nazioni altro non sono che memoria. Una riflessione profonda, questa del grande dalmata, che tanto ha dato alla formazione di una coscienza nazionale, proprio perché vissuto a contatto con una cultura diversa dalla sua. Avesse sotto gli occhi l’Italia contemporanea, con la sua fragile identità collettiva, troverebbe triste conferma all’intuizione. Non a caso si celebrano nel nostro Paese due giornate dedicate alla memoria e al ricordo per cercare di scuotere gli animi degli italiani, e di promuovere a nuova consapevolezza del nostro essere nazione. Vale sempre la pena di stimolare le coscienze. Specie dei più giovani, aggrediti da uno dei peggiori mali che affliggano la società odierna: la destoricizzazione. Cioè il distogliere la mente dal passato. Facendo credere che solo il presente ha valore. Che il futuro non ha bisogno di sostenersi sulle spalle delle generazioni precedenti. Un delitto culturale, perché in questo modo si cancella ogni possibilità di cogliere gli infiniti sforzi che uomini e donne d’altri tempi hanno compiuto per farci approdare a una certa condizione di conoscenza e di benessere economico. Un fine dissennato, perché mira a distruggere l’idea stessa dell’Origine. Con una visione che rimuove la visione del Creatore, e il valore della continuità su cui fonda l’amore per l’Altro.
Il Maligno in ogni epoca si è presentato con nomi e volti inediti, ma con l’immutata volontà di seminare tra gli uomini l’odio. Se l’umanità ha un senso, questo sta nella sua diversità. Nei modi con cui ciascun popolo sulla Terra ha cercato di soddisfare le sue necessità primarie applicando l’intelligenza al proprio ambiente. Ne sono nate lingue, architetture, abbigliamenti, cucine, e modi per esprimere il rapporto con il Cielo. Nei millenni, la curiosità di conoscere queste tante forme è stata lo stimolo che ha mosso i passi dei mercanti, degli esploratori, dei missionari, dei navigatori sugli oceani sconosciuti. Il mondo è cresciuto grazie a questo allargamento di conoscenza. Ma l’insidia del male ha accompagnato sempre questi avanzamenti. E ha portato stragi, razzie, schiavitù. Magari camuffandosi da ideologia del progresso.
Di molti orrori si è perso perfino il ricordo. Eppure la memoria del Novecento è qui, ancora prossima a noi. Un secolo di genocidi. In nome dell’uomo nuovo, della razza perfetta, del cittadino emancipato dalle catene della Legge eterna, si è ucciso, si è tentato di distruggere interi popoli, ci si è sparato addosso fra appartenenti a una stessa nazione. Non solo nelle guerre, ma nelle persecuzioni etniche, nelle pratiche di dominio e in tante altre forme. Bisogna ricordare i milioni e milioni di morti della prima e della seconda guerra mondiale, che hanno avuto il tristissimo seguito del genocidio degli Armeni, delle stragi di contadini ucraini morti per fame in nome della collettivizzazione forzata della terra, dei massacri nella guerra civile spagnola, dei gulag nella gelida Siberia, dei lager in ogni luogo occupato da Hitler, dell’Olocausto di Ebrei e Rom, delle foibe carsiche, dell’affogamento in mare e delle deportazioni per Istriani, Giuliani e Dalmati, delle violenze sulle donne tedesche profughe dai Sudeti, degli eccidi post bellici in Emilia, nella Lombardia e nel Veneto per mano partigiana. Solo per ricordare una parte di quanto avvenuto in Europa e nel Vicino Oriente.
L’Italia, in particolare, nella sua recente unità, in solo un secolo e mezzo ha conosciuto almeno quattro esperienze di morte data da italiani ad altri italiani. Nel 1860, con l’uccisione dei soldati delle Due Sicilie, vittime sul campo e negli assedi delle fortezze di Gaeta e Messina, da parte di garibaldini e piemontesi. Nel 1866, a Lissa, in uno scontro navale che ha visto veneti, istriani, triestini, dalmati, sotto bandiera austriaca affondare navi italiane governate da equipaggi liguri, toscani, laziali, napoletani, e viceversa. Nel 1920, a Fiume, soldati nazionali sparare sui legionari di D’Annunzio, a loro volta pronti nel rispondere al fuoco. Negli anni del conflitto soldati e delatori italiani consegnare nelle mani dei nazisti tedeschi donne, uomini e bambini italiani di religione ebraica. E in quelli successivi all’8 settembre 1943, fino alla fine della guerra e oltre, giovani della Repubblica Sociale e giovani resistenti accanirsi gli uni contro gli altri.
Forse, l’avere rifiutato, in nome della retorica nazionalista o dell’ideologia di partito, un’onesta riflessione storica su questi fatti ha reso l’Italia contemporanea scarsamente orgogliosa della sua unità, impoverendo il consenso collettivo piuttosto che irrobustendo la volontà di andare oltre. Meditare e conoscere tutto questo, con l’occasione delle giornate della memoria e del ricordo, dovrebbe avere il significato di prepararsi ad affrontare le tensioni che l’incontro fra tante culture del mondo, conseguenti ai processi di mondializzazione, certamente è destinato a produrre. Per procedere, infine, verso un comune ideale di benessere comunitario, fondato su valori umanitari e perenni.
Ulderico Bernardi


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