MEMORIA E RICORDO di Ulderico Bernardi |
Memoria e Ricordo
La dimenticanza, ammoniva Niccolò
Tommaseo, perde i popoli e le nazioni, perché le nazioni altro non sono
che memoria. Una riflessione profonda, questa del grande dalmata, che
tanto ha dato alla formazione di una coscienza nazionale, proprio
perché vissuto a contatto con una cultura diversa dalla sua. Avesse
sotto gli occhi l’Italia contemporanea, con la sua fragile identità
collettiva, troverebbe triste conferma all’intuizione. Non a caso si
celebrano nel nostro Paese due giornate dedicate alla memoria e al
ricordo per cercare di scuotere gli animi degli italiani, e di
promuovere a nuova consapevolezza del nostro essere nazione. Vale
sempre la pena di stimolare le coscienze. Specie dei più giovani,
aggrediti da uno dei peggiori mali che affliggano la società odierna:
la destoricizzazione. Cioè il distogliere la mente dal passato. Facendo
credere che solo il presente ha valore. Che il futuro non ha bisogno
di sostenersi sulle spalle delle generazioni precedenti. Un delitto
culturale, perché in questo modo si cancella ogni possibilità di
cogliere gli infiniti sforzi che uomini e donne d’altri tempi hanno
compiuto per farci approdare a una certa condizione di conoscenza e di
benessere economico. Un fine dissennato, perché mira a distruggere
l’idea stessa dell’Origine. Con una visione che rimuove la visione del
Creatore, e il valore della continuità su cui fonda l’amore per l’Altro.
Il Maligno in ogni epoca si è presentato con nomi e volti inediti,
ma con l’immutata volontà di seminare tra gli uomini l’odio. Se
l’umanità ha un senso, questo sta nella sua diversità. Nei modi con cui
ciascun popolo sulla Terra ha cercato di soddisfare le sue necessità
primarie applicando l’intelligenza al proprio ambiente. Ne sono nate
lingue, architetture, abbigliamenti, cucine, e modi per esprimere il
rapporto con il Cielo. Nei millenni, la curiosità di conoscere queste
tante forme è stata lo stimolo che ha mosso i passi dei mercanti, degli
esploratori, dei missionari, dei navigatori sugli oceani sconosciuti. Il
mondo è cresciuto grazie a questo allargamento di conoscenza. Ma
l’insidia del male ha accompagnato sempre questi avanzamenti. E ha
portato stragi, razzie, schiavitù. Magari camuffandosi da ideologia del
progresso.
Di molti orrori si è perso perfino il ricordo. Eppure la
memoria del Novecento è qui, ancora prossima a noi. Un secolo di
genocidi. In nome dell’uomo nuovo, della razza perfetta, del cittadino
emancipato dalle catene della Legge eterna, si è ucciso, si è tentato di
distruggere interi popoli, ci si è sparato addosso fra appartenenti a
una stessa nazione. Non solo nelle guerre, ma nelle persecuzioni
etniche, nelle pratiche di dominio e in tante altre forme. Bisogna
ricordare i milioni e milioni di morti della prima e della seconda
guerra mondiale, che hanno avuto il tristissimo seguito del genocidio
degli Armeni, delle stragi di contadini ucraini morti per fame in nome
della collettivizzazione forzata della terra, dei massacri nella guerra
civile spagnola, dei gulag nella gelida Siberia, dei lager in ogni luogo
occupato da Hitler, dell’Olocausto di Ebrei e Rom, delle foibe
carsiche, dell’affogamento in mare e delle deportazioni per Istriani,
Giuliani e Dalmati, delle violenze sulle donne tedesche profughe dai
Sudeti, degli eccidi post bellici in Emilia, nella Lombardia e nel
Veneto per mano partigiana. Solo per ricordare una parte di quanto
avvenuto in Europa e nel Vicino Oriente.
L’Italia, in particolare,
nella sua recente unità, in solo un secolo e mezzo ha conosciuto almeno
quattro esperienze di morte data da italiani ad altri italiani. Nel
1860, con l’uccisione dei soldati delle Due Sicilie, vittime sul campo e
negli assedi delle fortezze di Gaeta e Messina, da parte di garibaldini
e piemontesi. Nel 1866, a Lissa, in uno scontro navale che ha visto
veneti, istriani, triestini, dalmati, sotto bandiera austriaca affondare
navi italiane governate da equipaggi liguri, toscani, laziali,
napoletani, e viceversa. Nel 1920, a Fiume, soldati nazionali sparare
sui legionari di D’Annunzio, a loro volta pronti nel rispondere al
fuoco. Negli anni del conflitto soldati e delatori italiani consegnare
nelle mani dei nazisti tedeschi donne, uomini e bambini italiani di
religione ebraica. E in quelli successivi all’8 settembre 1943, fino
alla fine della guerra e oltre, giovani della Repubblica Sociale e
giovani resistenti accanirsi gli uni contro gli altri.
Forse, l’avere
rifiutato, in nome della retorica nazionalista o dell’ideologia di
partito, un’onesta riflessione storica su questi fatti ha reso l’Italia
contemporanea scarsamente orgogliosa della sua unità, impoverendo il
consenso collettivo piuttosto che irrobustendo la volontà di andare
oltre. Meditare e conoscere tutto questo, con l’occasione delle giornate
della memoria e del ricordo, dovrebbe avere il significato di
prepararsi ad affrontare le tensioni che l’incontro fra tante culture
del mondo, conseguenti ai processi di mondializzazione, certamente è
destinato a produrre. Per procedere, infine, verso un comune ideale di
benessere comunitario, fondato su valori umanitari e perenni.
Ulderico Bernardi
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