giovedì 20 maggio 2010

Deepwater Horizon e la Fine del Petrolio



L’incidente della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel golfo del Messico avvenuto nei giorni scorsi ha portato alla ribalta dell’opinone pubblica tutta la fragilità del sistema di estrazione del petrolio, che oggi nella ricerca di nuovi giacimenti sta mettendo in campo tutte tecnologie disponibili.

Ma il gioco del destino ha voluto che l’incidente colpisse non una piattaforma qualsiasi, ma proprio quella che detiene il record assoluto di profondità di trivellazione, che la Horizon ha raggiunto nel settembre 2009 con oltre 10.680 metri di profondità, cioè quasi 11 chilometri sotto la crosta terrestre.

Una sfida contro le leggi della fisica, portando i materiali utilizzati per realizzare il nuovo pozzo, a pressioni e temperature estreme, con tutti i rischi che ne conseguono.

E’ la dimostrazione lampante di quali e quanti mezzi tecnici ed economici le compagnie petrolifere stanno mettendo in campo per cercare nuovi giacimenti, dando ragione chi sostiene che le riserve di petrolio si stanno assottigliando.

L’incidente dà quindi un duplice segnale di allarme : il primo riguarda gli elevati rischi che si celano dietro alla ricerca del petrolio in condizioni estreme, mentre il secondo riguarda l’evidente fine del petrolio a basso costo.

Nonostante i segnali rassicuranti lanciati della potente Agenzia Internazionale dell’Energia, nel mondo scientifico si colgono invece segnali negativi sul futuro del petrolio che sta diminuendo in quantità e qualità, fenomeno per ora attuito dal calo dei consumi dovuto alla grisi globale, ma con il traguardo dei 100 dollari al barile che incombe sull’economia mondiale.

La politica invece in tutto questo tace, sperando costantemente nella buona stella o evidentemente distratta da altri problemi.

Guardando invece a casa nostra, il Veneto si trova in una posizione estremamente vulnerabile rispetto alla prospettiva di aumento dei costi del petrolio, sia per com’è strutturato il tessuto urbano che le attività lavorative.

In primo luogo ci sono le tantissime famiglie che abitano fuori dai centri urbani e che hanno inperniato la loro vita-sopravvivenza sull’automobile senza calcolare i rischi del caro-petrolio.

In secondo luogo ci sono le attività industriali ed artigianali, troppo spesso edificate in aree lontane dalle grandi arterie di comunicazione e soprattutto dalla ferrovia, conseguentemente dipendenti in via esclusiva dai mezzi su gomma.

Soluzioni in vista per ora non ce ne sono, ma rendiamoci almeno conto dell’esistenza del problema, e che prima o poi si dovrà iniziare a parlarne.

E prima cominciamo e meglio arriveremo preparati alla fine del petrolio.

Marco Dal Pra'
Mestre (VE)