venerdì 23 gennaio 2015

Ma la morte non è un peccato

Ralph Piennes è Lord Voldemort
La gente non parla della morte. E' una parola da non usare. Suscita terrore. Ricorda scene raccapriccianti. E' un discorso da evitare, come il nome di Lord Voldemort nella saga di Harry Potter. Tutti sanno chi è ma nessuno osa nominarlo.
Per molti credenti sembra addirittura trattarsi un peccato, quasi che nei 10 comandamenti biblici, accanto a non uccidere , non dire falsa testimonianza, non rubare, vi fosse scritto anche non morire.
Ma morire ed uccidere non sono la stessa cosa. 
Uccidere è un atto volontario, sconsiderato, privo di rispetto per l'altrui diritto di esistere. La morte invece fa parte della vita, come la nascita, l'alba, il tramonto, la luna e le stelle.

"Ha fatto un infarto ed è morto" è una frase da pronunciare sottovoce, quasi con vergogna, come la morire facesse parte dei peccati capitali. Certo la morte non è semplice da accettare, soprattutto quando si è perso un amico, un familiare, una persona cara. Ma è proprio in questo frangente che dovrebbe emergere la differenza tra il credente e il non credente; invece sembra che tanti, troppi credenti interpretino la morte come un evento definitivo, irreversibile. Ma dov'è allora la fede ?

Per il vero credente la morte è una separazione temporanea. Prima o poi ci si ritroverà tutti innanzi cospetto del Creatore , invece la paura della morte è diventata una psicosi.
La coerenza del fedele di fronte alla morte sembra dissolversi. Al contrario è l'ateo chi si può giustificare se davanti alla morte ne fa una tragedia.
Questo ragionamento nasce per ricordarci che la morte fa parte del gioco della vita : Oggi ci sono domani potrei non esserci più.
Un famoso alpinista conosciuto per le sue scalate "estreme" è morto per una banale caduta nelle scale di casa : cosa ci può insegnare questo episodio ?
Per il non credente è un monito a non dare per scontato che i pericoli siano solo in alcuni luoghi o in alcune gesta.
Per il credente (vero), il discorso è completamente diverso. L'episodio dell'alpinista va letto come un monito a non affezionasi troppo a qualcuno, nel senso che i nostri cari sono "in prestito", e Dio può decidere in qualunque istante di "riprenderseli indietro".
E' una interpretazione che può far sorridere, ma se Dio è onnipotente allora si accetta che solo lui conosce il momento in cui il cammino di ognuno di noi è arrivato al termine. Arrabbiarsi con Dio in questo caso non serve a nulla e soprattutto dimostra solo i nostri limiti, la nostra mancanza di umiltà nell'accettare le decisioni di Dio. Sono storie di fedeli part-time.

Poi si apre il discorso macchine
Dinanzi alla fede in Dio sono lecite le macchine che tengono in vita le persone ?
Questa storia delle macchine per tenere in vita le persone è per certi versi assurda : i credenti sembrano farne dei monumenti per attaccarsi alla vita, cosa che materialisticamente dovrebbero fare gli atei. Invece sembra succedere il contrario.
Da credenti, se guardiamo alla reatà dei fatti, Dio ci a ha dato la vita ma non ci ha dato a corredo anche macchine per prolungarla oltre le capacità del nostro fisico, come la ruota di scorta nel baule delle automobili.
Le macchine sono arrivate con il XX secolo.
Forse in argomento si potrebbe scrivere una lettera al Papa, con questa domanda : "Ma nei secoli e secoli scorsi, che queste macchine non esistevano, gli uomini come facevano ? Andavano all'inferno perchè non riuscivano a prolungare la loro esistenza in vita ??"Avete capito : è un discorso insussistente, illogico. I problemi sono altri.

Ma il suicidio è un omicidio
La questione è posta in maniera sbagliata. Certamente è un evento violento, improvviso e volontario,  ma il problema è un altro : il suicidio è un evento che dimostra i limiti degli uomini che il suicida aveva attorno. Persone che forse hanno lascito il suicida nella sua sofferenza, hanno mancato di una parola gentile, di un'offerta di aiuto.
Il suicidio ci ricorda che esiste anche il prossimo e che potrebbe aver bisogno di noi.
 
E la morte assistita ?
La questione dolce morte è invece completamente diversa. Si tratta di persone che non accettano l'avvicinarsi della morte, così chiedono di farla finita subito negando a sè stessi e ai propri cari un percorso, un'esperienza che seppur difficile può riservare degli insegnamenti.
E' come smettere di leggere un libro perchè si è venuto a sapere che alla fine il protagonista muore : si dovrebbero allora cancellare tutti i libri con la tragedia di William Shakespeare "Giulietta e Romeo" ?


La vita è un attimo, un attimo fuggente
Credenti o no, l'episodio dell'alpinista ci ricorda che la vita è un attimo, un attimo fuggente.
Un percorso che vale la pena di essere vissuto fino in fondo, ogni giorno, ogni istante.
Che c'è sempre il rischio, rimandando le cose importanti, che vadano per sempre perdute.


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